Penultima puntata del nostro viaggio nell’Europa dello Sport: il Prof. Porro affronta stavolta il Modello Mediterraneo dopo avere approfondito il Modello Nordeuropeo , il Modello Centroeuropeo e il Modello anglosassone (vedi anche l’intervista pubblicata il 30 gennaio scorso)
di Nicola Rinaldo Porro
Nei Paesi dell’Europa mediterranea prevale un regime di politiche sociali ribattezzato “Welfare delle solidarietà familiari”
Nei Paesi dell’Europa meridionale – comprendendo fra questi Italia e Spagna (uno fra i pochi Paesi della UE a citare lo sport in Costituzione), Grecia e Portogallo, Cipro e Malta – prevale un regime di politiche sociali ribatezzato da Maurizio Ferrera, Professore ordinario di Scienza Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali (SPES) dell’Università degli Studi di Milano, come il “Welfare delle solidarietà familiari”.
Tale regime di poltiche sociali costituisce anch’esso un paradigma molto generale che ha conosciuto, nel tempo e in relazione ai cangianti equilibri politici dei singoli Paesi, variazioni significative.
In Italia, Grecia, Spagna e Portogallo un’impostazione corporativa ispirata al modello centro-europeo bismarckiano si è trasformato nel tempo in un sistema ibrido
In tale sistema appaiono sempre più presenti, soprattutto in campo sanitario, elementi di mercato. Ciò senza peraltro limitare in modo significativo le funzioni nevralgiche per la protezione sociale attribuite alle reti primarie o all’assistenza volontaria.
L’Italia è il solo fra i grandi Paesi comunitari a operare per mezzo di una delega dello Stato (dai controversi profili giuridici e oggetto di un profondo cambiamento realizzato dal governo in carica) all’ente CONI, preposto all’alta prestazione ma di fatto organo supplente delle politiche pubbliche statali
Il nostro paese presenta la singolare caratteristica di rappresentare una potenza olimpica (al quinto posto nel medagliere di tutti i tempi con una capacità straordinaria di mietere successi in quasi tutte le specialità di performance) e allo stesso tempo un contesto sportivo di pratica diffusa ai imiti del sottosviluppo: appena il 38% di cittadini virtualmente attivi secondo le stime dell’Eurobaometro, precedendo solo Grecia, Portogallo, Romania e Bulgaria nella poco commendevole graduatoria dei pigri d’Europa.
La Spagna si sforza di sperimentare un modello fondato sul ruolo delle Autonomìas regional
La Spagna, che vanta in questa area una pratica diffusa più consistente rispetto agli altri Paesi, si sforza di sperimentare un modello fondato sul ruolo delle Autonomìas regionali ricalcato sul modello dei Länder tedeschi.
L’esperienza spagnola è tuttavia oggetto di animate controversie fra gli studiosi e i commentatori per la discrasia fra i risultati dello sport professionistico di alto livello e l’insufficiente sostegno alo sport di cittadinanza, che per alcuni andrebbe addebitata all’ordinamento federalistico dello sport e per altri, al contrario, a una sua solo parziale valorizzazione (è un caso esemplare, ad esempio, per l’autonomismo catalano).
La regolazione del sottosistema sportivo assume insomma anche qui le dinamiche socio-culturali e politico-istituzionali a più ampio raggio.
Portogallo e Grecia posseggono istituzioni specializzate di emanazione pubblica per l’incoraggiamento alle attività e per la prevenzione sanitaria
Esse non dispongono però di risorse significative, anche per effetto delle drammatiche vicende finanziarie che hanno interessato i bilanci pubblici dei due Paesi a partire dal 2008.
Nel caso maltese convivono anche nel caso dello sport tratti prevalenti di welfare familistico di tipo mediterraneo e influenze del modello britannico.
Complessivamente quella euro-meridionale rappresenta un’area segnata da percentuali di pratica quasi sempre inferiori ai livelli medi continentali.