L’attesa triplice sfida fra Inghilterra ed Italia nel Sei Nazioni di rugby si è chiusa con un secco 3-0 in favore deI padroni di casa
di Giacomo Mazzocchi
Questi i risultati: Sei Nazioni maschile 14-54; Sei Nazioni femminile 0 – 55 (le azzurre mantengono la seconda piazza); Sei Nazioni Under 20: 10 -35.
Insomma, senza tante storie: “ci hanno fatto neri” o, piuttosto, blu, azzurri!
Tra gli addetti ai lavori, alla luce delle recentissime prestazioni nel Sei Nazioni, si era affacciata l’ipotesi che i Maestri del rugby fossero alla portata del rugby italiano.
Infatti, gli Azzurri del C.T. irlandese O’Shea si erano battuti ad armi pressoché pari contro Scozia, Galles e soprattutto l’Irlanda, mentre le ragazze di capitana Furlan, addirittura, si presentavano ad Exeter prime in classifica e a pari punti con l’Inghilterra nonché imbattute da 5 partite. Quanto agli azzurrini, il loro score al Torneo li aveva visti vittoriosi contro la Scozia e sconfitti di misura contro gallesi ed irlandesi.
Perché non ipotizzare la possibilità di conseguire qualche successo anche in terra d’Albione?
Erano stati fatti male i calcoli, ovvero non si era tenuto conto – o sottovalutato – un aspetto rivelatosi decisivo: la vigoria fisica inglese. I progressi italiani recenti si sono costruiti attraverso una crescita tecnica importante e tanto lavoro appassionato da parte del’ambiente e dei giocatori, molti dei quali sono andati a giocare nei campionati inglesi e francesi necessari per metabolizzare quell’intensità di prestazione necessaria ad alti livelli.
Nel rugby la fisicità è importante, rilevante, decisiva
Il punto è che, contrariamente ad altri sport di squadra – come il calcio dove la tecnica in individuale consente di mettere in evidenza soggetti fisicamente poco, normo dotati (si pensi a Pelè, Maradona, Platini, Del Piero, etc..) – nel rugby la fisicità è importante, rilevante, decisiva. A parità di livello tecnico, la squadra più dotata fisicamente si impone. Quasi necessariamente. Ed allora, come si può realizzare al meglio questa sintesi e perché all’Inghilterra (circa 55 milioni di abitanti) ma anche alla Nuova Zelanda (circa quattro milioni e mezzo di abitanti) riesce e all’Italia no?
Perché Tonga, Samoa, Fiji sono fra le prime 15 squadre al mondo in uno sport praticato da 8 milioni e mezzo di individui in 121 paesi?
Perché dispongono dei migliori preparatori fisici, dietologi, strutture , incentivi, soldi? No. La risposta è: attingono e reclutano su una base più vasta. Nei paesi poco affollati come la Nuova Zelanda, o piuttosto come le isole del pacifico, tutta la gioventù pratica solo il rugby: tutto il potenziale sportivo si indirizza verso il rugby.
Cento ragazzi? Tutti praticano il rugby fin dai primi passi
Se poi il padreterno li ha dotati di fisici potenti, di fibre da velocisti – giganteschi cubi senza fragilità o appigli – ecco accadere che mille giovani praticanti diventano 1000 campioni, pronti ad essere esportati in tutti i paesi ad alto interesse rugbystico. Nel rugby europeo, il connubio fisicità-tecnica si cerca e si ottiene nella misura in cui si riesce ad accrescere la base di riferimento vincendo la concorrenza di altri sport.
Il numero dei praticanti
A questo punto si impone il discorso strutturale del numero dei praticanti: più sono e più puoi accrescere la selezione (peso, altezza, potenza e velocità da aggiungere alla destrezza). Inoltre, tanto più un paese può vantare una grande tradizione di Rugby – Irlanda, Galles, Scozia ed anche Francia – tanta maggiore sarà la capacità di attrarre la ‘meglio gioventù’ verso questo sport a scapito delle altre discipline. In italia la concorrenza è spietata perché la sua gioventù si divide in tanti microcosmi sportivi tanto da renderla uno dei paesi più medagliati al mondo nonostante la bassa percentuale media di praticanti nella popolazione.
In italia la gioventù si divide in tanti microcosmi sportivi così da renderla uno dei paesi più medagliati al mondo nonostante la bassa percentuale di praticanti nella popolazione
Il mondo rugbystico italiano vanta discreta tradizione ed è decisamente in crescita, specie a livello femminile: attinge dove può attingere e sa difendersi discretamente contro avversari con un bacino di utenza abbastanza simile al proprio: ma quando se la deve vedere con l’Inghilterra superare il dislivello diventa arduo.
I dati al 2016 censiscono 2.139.000 praticanti in Inghilterra con 382.154 tesserati agonistici. In Italia i tesserati (uomini e donne) sono 88.252. Un gap significativo
Se a questo dislivello di partenza si aggiunge l’impiego di armi atletiche naturali super, allora arrivano guai… L’handicap specifico che ha sofferto la Nazionale azzurra a Twickenham è stata la presenza contemporanea in campo di quattro giocatori “isolani” del Pacifico.
Il furbo australiano di genitore cinese, il C.T. Eddie Jones – con Squadra nazionale in ricostruzione per cambio generazionale – ha rimpolpato la sua truppa attraverso ben quattro giocatori di provenienza del Pacifico, britannici certamente ma non di nome e cognome: ma si sa, gli inglesi, grandi viaggiatori ed esploratori, da sempre si considerano cittadini del mondo e viceversa: BREXITdocet!
Eccoli: Joe Cokegagasi, 21anni, esordiente, ala trequarti di 1,95 m x 115 kg, Isole Fiji, Man of the match; Manu Tuilagi, centro trequarti, 1,85m x 110 kg, Samoa, due mete ieri; Ben Te’o, centro trequarti, 1,96m. x 106 kg, Nuova Zelanda; Mako Vunipola, terza linea centro, 1,80m x 122 kg, Tonga.
L’Italia era preparata ad affrontare uno scontro fisico importante ma non una strapotenza del genere
Tutto dentro le regole, si intende. Anche l’Italia nella ripresa ha immesso l’italo guineiano Cheriff Traorè – pilone rugbisticamente cresciuto in Italia – ma certamente la presenza di quei quattro giganti su 15 elementi era una proporzione corretta dal punto di vista dei regolamenti ma, sportivamente parlando, esagerata. Penalizzante in maniera decisiva per gli azzurri, oggi sconcertati, disorientati e con problemi seri in vista del prossimo match a Roma contro la Francia.
Ad impossibilia nemo tenetur
Infatti dagli scontri offensivi e difensivi contro due centri “panzer” britannici sono usciti malconci prima Campagnaro e poi Castello tanto da dover essere sostituiti. Tutto ciò a partire dal 23′ del primo tempo quando la gara, dopo la meta di Allan (la più bella di tutta la partita, conclusa al termine di una azione durata ben 17 fasi) era ancora in equilibrio.
A queste condizioni, contro questa Inghilterra ‘isolana’ l’Italia non ce la potrà mai fare.