di Giacomo Mazzocchi
Il campione austriaco è stato celebrato per l’ultima volta pubblicamente nel Duomo di Vienna mercoledì 29 maggio.
Lauda è stato sepolto con la tuta da lui indossata durante la vittoria dei titoli mondiali del ’75 e del ’77
Chi potrà mai dimenticare l’immagine della sua Ferrari, impegnata nel difficile recupero dal pit stop al Gran Premio di Germania, perdere aderenza sul bagnato della Curva Bergwerk sul circuito del Nurburgring in Germania, schiantarsi contro la barriera ed andare immediatamente a fuoco con dentro il pilota?
Chi potrà mai dimenticare – era il 1° agosto 1976, periodo d’oro del triplice trionfo Ferrari-Lauda – il suo amico-rivale Arturo Merzario che riesce ad estrarlo dalla vettura in fiamme dove era rimasto incastrato?
E come dimenticare tutto il resto? Dalle bruciature che ne devastarono per sempre il volto, ai polmoni segnati per sempre dalle inalazioni velenose. Dal rientro in pista avvenuto dopo 45 giorni a Monza per rimanere in corsa per il titolo iridato al suo ritiro in Giappone dovuto alle condizioni di pericolosità estrema del circuito di Suzuka, ritiro che gli costò la corona iridata.
Più forte del destino, sempre padrone della propria esistenza. Senza alcun complesso per come la sorte aveva alterato i propri lineamenti, convinto che l’estetica non fosse ciò che fa la differenza. Nella vita privata, due mogli e cinque figli. In quella professionale, la capacità di saper curare i minimi dettagli (da cui il nomignolo ‘computer’)
Terminate le stagioni vincenti alla Ferrari, alla Brabham ed alla Mc Laren, l’approdo alla Mercedes: il vero segreto del successo della corazzata tedesca ai danni della Ferrari.
A 70 anni il campione austriaco ha dovuto arrendersi alla sorte a causa dei polmoni andati, ultimo dei 45 caduti dell’Automobilismo di massimo livello a partire dal 1952 (Cameron Earl) tra cui Ayrton Senna, Gilles Villenueve, Eugenio Castellotti, Michele Alboreto. Anche per Alex Zanardi il destino è stato severo ma anche lui lo ha domato prima continuando a pilotare ad altissimo livello – pur senza le gambe recise al Gran Premio del Belgio nel 1993 – poi diventando pluricampione paraolimpico di bicicletta a trazione manuale.
Niki Lauda riporta immediatamente a due vicende extra automobilistiche dei nostri giorni. Quella di Bebe Vio, giovane schermitrice colpita da meningite ad 11 anni che nella scherma in carrozzina ha vinto ori alle Paraolimpiadi, e quella di Manuel Bortuzzo, il talento natatorio trevigiano ferito per errore in una sparatoria, semiparalizzato ma poi di nuovo in piscina a proseguire l’attività agonistica tentando di fare tutto il possibile – e l’impossibile – per ricominciare a camminare.
La dimostrazione più evidente che lo sport può trasformare l’uomo in superuomo, in una persona in grado di superarsi in qualsiasi circostanza.