Giacomo Mazzocchi per SportPolitics.it

Il calcio italiano continua a far parlare di sé per la curiosità che riesce a sollevare attorno alle sue prestazioni. La Juventus che da un tentativo di autorete di Chiellini fa scaturire il gol del secolo di Ronaldo (capace di portare il suo piede destro a 2,37 metri dal suolo). La Roma che addirittura stabilisce un record internazionale irripetibile: regalare via autogol, al Barcellona, le prime due delle quattro reti che ridimensionano il valore europeo della formazione giallorossa.

Tutto molto sconsolante. Pittoresco, solo pittoresco!

Questo sarebbe il contenuto di uno sport nazionale che ci ha visto quattro volte Campioni del Mondo, secondi dopo il Brasile ed alla pari della Germania? Uno sport praticato da milioni di giovani che viaggia a scartamento ridotto mentre piccoli microcosmi azzurri fanno risuonare in giro per il mondo l’Inno di Mameli: recentemente alle Olimpiadi della Neve, nel ciclismo, nella moto, nella Formula Uno.

Juventus e Roma appaiate nel fondo, appagate dall’egemonia che da anni impongono al calcio italico ma protagoniste del crollo internazionale dello sport più seguito lungo lo Stivale. Entrambe accomunate, soprattutto, da un ritardo tecnico-tattico che chiede vendetta al cospetto di quanto accade altrove.

Il disastro tecnico-tattico delle squadre più blasonate e dotate economicamente è sotto gli occhi di tutti, senza bisogno che si siano seguiti i seminari calcistici a Coverciano.  Juventus, Roma, Inter (del Milan si specifica a seguire) sono nelle mani di allenatori italiani celebrati ma sorpassati nel gioco che propongono. Che si può esemplificare con la frase “palla lunga e pedalare”. Difesa e contropiede veloce, Lanci lunghi in profondità e cross dal fondo. Niente di nuovo in 30-40 anni, indietro ai tempi del catenaccio di Nereo Rocco.

L’unica innovazione è il “possesso palla”, ovvero il sistema inventato per far trascorrere i minuti senza conseguenze ed annoiare e cacciare via dagli stadi gli spettatori.

Già sarebbe qualcosa! Il guaio è  che “il possesso palla all’italiana” è totalmente diverso dall’originale praticato dappertutto: da noi i passaggi fra i giocatori sono lunghi ed improduttivi, oltre che intercettabili, perché telefonati.

Il palleggio, gli scambi devono essere brevi e veloci. Tali da mettere fuori equilibrio gli avversari. Proprio come nelle fasi di riscaldamento pre-partita, il cosiddetto “torello”.

Questi tocchi misurati  sono bagaglio tecnico che qualsiasi calciatore (specie professionista) deve necessariamente possedere. Va però esercitato individualmente e coralmente. Inoltre, esso va associato ad un altro movimento collettivo fondamentale: il pressing a tutto campo.

Nell’andata degli ottavi di Champions, il Barcellona ha da dato una ennesima dimostrazione del perché da anni è il club al vertice del mondo: pressing aggressivo da parte di tutti (anche di Messi) necessario per accaparrarsi il pallone. Quindi possesso palla (“torello” o Tiki-taka) a breve distanza anche in affollamento.

E’ evidente che per fronteggiare tali manovre  l’agilità è importante. Più sei alto, grosso e legnoso e più  sarai in difficoltà  girarsi e rigirarsi.  Più sei difensore del biotipo guerriero aggressivo e generoso come Chiellini, Barzagli e compagnia o, come a Barcellona, Fazio e Manolas (di qui il tappabuchi De Rossi) e più ti troverai  frastornato al punto da cacciare tu stesso il pallone in rete. Quasi un atto liberatorio.

Che conseguenze tirare fuori per raddrizzare le sorti dell’italico calcio?

La Nazionale è fuori dal mondiale 2018 ed i Club nostrani sono tutti fuori dalla Champions (il ritorno? Siamo seri..). Sia Allegri che Spalletti, ed anche Eusebio Di Francesco, stanno facendo nobili tentativi per allinearsi ai dettami giusti. Ma è evidente, non è nel loro DNA.

Di Francesco  è arrivato alla Roma per la fama  di allenatore “spagnolo” emulo di Sarri che si era conquistata in cinque anni al Sassuolo  (che ancora si giova dell’eredità da lui lasciata). Ma , evidentemente,  si trova in mano giocatori, sia avanti che dietro,  con profili tecnico atletici  in qualche maniera compromessi.

La Roma, in effetti, sembra la più distante fra le big in termini di modernità. Peccato perche la società giallorossa nel 2011 appena diventata “americana” la prima cosa che aveva fatto era stata ingaggiare l’allenatore del Barcellona Luis Enrique proprio per introdurre in Italia i segreti del calcio spagnolo. Il tecnico iberico portò con sé anche il suo secondo De La Pena  con l’intento di introdurre anche la preparazione tecnica fisica adatta allo scopo in tutti i settori della società fin da quelli giovanili.

Qualcuno,però,  pensava  la Roma che dovesse vincere lo scudetto al primo anno. Così, a metà del suo lavoro, Luis Enrique  lasciò Roma per tornare a Barcellona. Un’occasione persa per la Roma e tutto il calcio italiano.

Più ottimistico, invece, il messaggio che arriva dalla ex Grande Milan. Rino Gattuso è riuscito in tempi record a governare modernamente il Milan: sia nel Tiki-taki che nel pressing.  La squadra balbettante, slegata, senza idee né gioco lasciata da Montella ha tenuto a bada la corazzata Inter nel derby grazie soprattutto al pressing ed al possesso palla eseguiti in continuità da una squadra che non vanta certamente i talenti che affollano, invece, la squadra “all’italiana” di Spalletti.

In conclusione c’è poco da stare Allegri (o Di Francesco o Spalletti..) Nell’Italia calcistica qualcosa si sta muovendo ma non ai vertici dove si difende lo statu quo. La rivoluzione deve avvenire e sta avvenendo, come sempre, dal basso. Il vertice (Malagò-Fabbricini) si  preoccupi solo di evitare che la Nazionale (pilota del rinnovamento) non venga affidata ad un tecnico paludato e lasci lavorare un giovane preparato come Di Biagio che ha il vantaggio anche di costare meno: è un limite questo?

Ed i Grandi Club? Quelle sono società a fini di lucro venute anche dall’estero. Sarà loro interesse seguire l’onda.

Giacomo Mazzocchi

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