di Giacomo Mazzocchi
A poche ore di distanza dalla partita inaugurale dei Mondiali russi di calcio, il popolo degli sportivi italiani ha avuto l’opportunità di rimuovere la frustrazione di non vedere sui rettangolo verde il colore azzuro della prestigiosa maglia italiana, rimpiazzata da quelle senza tradizione di Arabia Saudita, Marocco, Egitto, Iran Australia, Nigeria etc… Come? Seguendo dal Giappone alle 7 del mattino, grazie al fuso orario, il successo dell’ItalRugby sui nipponici 25-23.
Qualcuno potrebbe osservare: dov’è la grande notizia anti frustrazione? L’Italrugby batte il Giappone (che non sono gli All Blacks): e allora?
Si dà il caso che il Giappone abbia da tempo sposato il rugby facendo grandi passi avanti fra i paesi “ovali”. I nipponici hanno una naturale predisposizione verso questo sport basato su forza del gruppo, sacrificio, coraggio e l’altruismo. Hanno anche scoperto che dai lottatori di Sumo si possono estrarre nerboruti atleti ideali per la mischia e che in alcune località del paese nascono spilungoni in grado di distinguersi nel basket, nella pallavolo ed anche per le rimesse laterali del rugby (touche),
Così, oggi, squadre giapponesi di club partecipano al campionato dell’emisfero sud che si disputa con le squadre più forti di Nuova Zelanda, Australia e Sud Africa e, tanto per gradire, nel 2019 i Mondiali si disputeranno proprio nel Paese del Sol Levante.
Quanto alla Nazionale Giapponese di rugby, si è insediata al decimo posto nel Mondo per i risultati ottenuti negli ultimi anni, subito dopo Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa, Inghilterra, Irlanda, Galles, Francia, Scozia. Argentina: l’Italia, prima del tour in estremo oriente e dopo 8 sconfitte consecutive, figurava in quattordicesima posizione.
Una faccenda che rendeva assai problematico il proseguimento del rapporto del CT Conor O’Shea con la FIR anche alla luce della sconfitta nel primo dei due test match giapponesi (a Oita per 34-17). Un secondo insuccesso in quel di Kobe avrebbe costretto il Presidente della FIR Alfredo Gavazzi, pur nella convinzione del buon lavoro impostato dal manager irlandese, a cercare un altro Responsabile Tecnico.
Invece, proprio in quella che è l’ultima esibizione pubblica della stagione è accaduto che finalmente l’Italrugby ha centrato la “quadra”, è riuscita, cioè, ha operare la sintesi di un lavoro durato due anni (O’Shea, infatti, ha iniziato il suo mandato nel luglio 2016).
Esperto in “costruzione” di assetti rugbystici di alto profilo e durata, O’Shea aveva bisogno di tempo per farsi un quadro di tutte le forze disponibili esistenti in Italia, aggregarle, testarle, sostituire i veterani, utilizzare per la Nazionale le due super quadre Benetton e Zebre che partecipano ai vari tornei europei e alla Celtic League.
Un lavoro necessariamente lungo che non si può improvvisare.
Molti erano stati i segnali che si fosse sulla buona strada: il successo (primo nella storia) contro il Sud Africa a Firenze, le ottime prestazioni nel Sei Nazioni – dove era mancato solo il risultato, tutto indicava che l’approdo era vicino.
Però c’era sempre qualcosa che mancava; questioni di dettaglio che, però, incrinavano il coro. Una volta era un reparto che non si allineava, a volte un altro. Una volta erano problemi in mischia, poi nelle rimesse laterali. Una volta mancava il calciatore, l’altra era la coppia mediana a che mal funzionava. Spesso si mancava in difesa, spesso in attacco.
L’Italia appariva con una coperta corta: si aggiustava da una parte e si guastava dall’altra.
Però l’impressione era che si fosse vicinissimi alla meta, che fosse un gravissimo errore buttare il lavoro di mesi e mesi per poca pazienza. Bravo, dunque, Gavazzi a mantenere la calma, a mai dare la sensazione che mancasse fiducia e lasciare che O’Shea coordinasse tutto il lavoro.
Alla vigilia del tour giapponese, la Nazionale si presentava con una trentina di elementi ‘nuovi’ rispetto al passato. Perfino Capitan Parisse era rimasto a casa per infortunio. Della vecchia e gloriosa guarda erano rimasti solo Ghiraldini e il “ricostruito” Zanni in seconda linea.
A Kobe si è visto fin dal calcio di inizio che la “quadra” era stata finalmente raggiunta. La sintesi di quello che è stato il lavoro di O’Shea in questi due anni si è vista palpabilmente fin dal primo minuto di gioco: azione azzurra della durata di 2 minuti e 23 secondi con avanzamento e passaggi da una parte all’altra del campo con continuità e fluidità di rango internazionale e partecipazione corale.
Giocando così per 50 minuiti, l’Italia si è portata 19-3 ad inizio ripresa e il Giappone non è capitolato ulteriormente solo in virtù di una capacità difensiva e di placcaggio assolutamente superiore e anche perché l’arbitro neozelandese Briant ha annullato, su indicazione errata della moviola, una meta regolarissima di Minozzi.
La prestazione azzurra è stata praticamente perfetta: finalmente la mediana Violi-Allan ha mostrato accuratezza, velocità di intesa e trasmissione, in attacco gli azzurri hanno sempre avuto sostegno attorno a sé e passaggi accurati.
Nelle fasi di gioco statico, l’organizzazione è risultata sempre adeguata ed attenta tranne che in un paio di touche offensive sballate e su qualche cedimento nella mischia chiusa nella ripresa quando il Giappone ha dato il meglio di sé.
Insomma, una squadra affiatata, ben registrata in ogni soggetto.
In particolare, è apparso splendidamente maturato Allan, ottimo in ogni circostanza nel gioco alla mano come al piede. Ha dimostrato perfino un ottima calibratura nei calci piazzati, qualcosa che da anni l’Italrugby aspettava.
Stesso discorso anche per Violi, finalmente rapido e preciso nella visione del gioco e negli smistamenti, un grande contributo anche nel sostegno: la meta di Campagnaro, la più bella della giornata, è merito del suo sostegno nel gioco aperto.
Un’Italia, fresca e convincente, con un sicuro presente e uno stimolante futuro.
Assicurata la base. Ora c’è da lavorare sui dettagli.
Uno di questi è la disciplina: una delle ragioni per cui la vittoria sul Giappone è risultata meno netta nel punteggio di quanto non sia apparso in campo, sono stati il numero alto di penalità assegnate contro gli azzurri, molte per placcaggi alti, a collo: bisogna fare molta attenzione, gli arbitri hanno avuto disposizione di essere assai severi a riguardo. Spesso esagerano in questo senso ma è così e bisogna assimilarlo.
Sotto questo aspetto i giapponesi hanno dimostrato di essere maestri: placcano tutto, ma mai alto.
Messo a posto i dettagli, il futuro ovale azzurro appare certo anche perché, dietro, la Nazionale Italiana U20 di capitan Miche Lamaro ha fatto grandi progressi nonostante la netta sconfitta (34-17) nella finale per il settimo posto contro il Galles nel mondiale Under 20 di Francia .
Giacomo Mazzocchi